Onorevoli Colleghi! - Il nuovo diritto internazionale ha solo recentemente iniziato a dedicare meritata attenzione ai popoli indigeni. Popoli che a fatica affermano il loro diritto all'esistenza come tali, cioè come popoli indigeni e tribali, contribuendo al contempo fortemente alla diversità culturale e all'armonia sociale ed ecologica dell'umanità, come pure alla cooperazione e alla comprensione internazionali.
In un mondo sempre più omologato e globalizzato, essi affermano il loro diritto alla differenza culturale, rivendicano la tutela dei loro diritti umani fondamentali nel totale rispetto delle loro identità culturali, aspirando al controllo delle istituzioni, dei modi di vita e di sviluppo economico loro propri, nonché alla conservazione e allo sviluppo della propria identità, della propria lingua e della propria religione, nell'ambito degli Stati in cui vivono.
In molte parti del mondo, questi popoli non riescono a godere i diritti umani fondamentali nella stessa misura della restante popolazione degli Stati in cui vivono; e le loro leggi, i loro valori, le loro consuetudini e le loro prospettive hanno di sovente subìto una netta riduzione.
Dei sei miliardi di abitanti del pianeta oltre trecento milioni di persone appartengono alla singolare categoria dei «popoli indigeni». Tra questi, 150 milioni di
il diritto al proprio territorio;
il diritto ad essere consultati se si discutono provvedimenti legislativi o esecutivi che li concernono;
il diritto allo sviluppo e al controllo delle proprie risorse;
il diritto alla tutela della propria identità culturale, linguistica e religiosa;
il diritto di chiamarsi con il proprio nome e di esprimere liberamente la propria identità etnica;
il diritto di formare propri organismi rappresentativi dotati di uno statuto ufficiale;
il diritto di conservare la propria struttura economica ed i tradizionali modi di vita senza contrastare il diritto di partecipare liberamente e in condizioni paritarie allo sviluppo economico, sociale e politico del Paese;
il diritto di conservare e di utilizzare la propria lingua nell'ambito dell'amministrazione e dell'insegnamento;
il diritto di libertà religiosa;
il diritto di avere accesso alla terra e alle sue risorse naturali, tenuto conto in particolare dell'importanza fondamentale che tali diritti hanno nelle loro tradizioni e aspirazioni;
il diritto di organizzare, dirigere e controllare il proprio sistema educativo.
Tutta la Convenzione ha un approccio finalizzato a rendere i popoli indigeni protagonisti del loro sviluppo. Si legge tra l'altro: «I governi devono prendere misure, in collaborazione con i popoli interessati, per la protezione e la salvaguardia dell'ambiente nei territori in cui essi abitano» (articolo 7). Si nota qui un recepimento di quanto in materia era stato elaborato nel 1986 con la Dichiarazione delle Nazioni Unite sul diritto allo sviluppo in quanto diritto di individui e di popoli. Cioé un diritto allo sviluppo umano e sostenibile come è stato poi sancito dalla convenzione sulla biodiversità, fatta a Rio de Janeiro il 5 giugno 1992.
All'elaborazione della Convenzione ILO 169 hanno collaborato, seppure indirettamente, i rappresentanti di numerosi popoli indigeni. Purtroppo uno dei limiti più gravi di questo provvedimento sta nella necessità di una sua approvazione e ratifica da parte dei Parlamenti nazionali dei singoli Stati.
Sarebbe un segnale molto importante che il nostro Paese, insieme ai principali Paesi occidentali, si affrettasse a ratificare questa importante Convenzione, anche per dare completa attuazione alla «Decade internazionale dei popoli indigeni nel mondo» dichiarata dalle Nazioni Unite (1994-2004). Ricordiamo che nel dicembre del 1994 l'Assemblea generale dell'ONU stabiliva che ogni 9 agosto e per un'intera decade venisse celebrata la giornata internazionale dei popoli indigeni del mondo. Questo per ricordare la data del 9 agosto 1992: il primo incontro tra la sottocommissione dell'ONU e il gruppo di lavoro sui popoli indigeni, contro le discriminazioni e per la protezione delle minoranze oppresse.